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lunedì 7 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 7 aprile.

Il 7 aprile del 1979 decine di persone, appartenenti o simpatizzanti o considerate vicine alla formazione di sinistra extraparlamentare Autonomia Operaia, furono arrestate in un’operazione che diede inizio a uno dei capitoli più discussi e controversi della storia giudiziaria italiana degli scorsi decenni. Fu una vicenda che coinvolse centinaia di persone ma che ebbe come protagonisti, mediatici e non solo, da una parte l’intellettuale e attivista Toni Negri, dall’altra il magistrato Pietro Calogero. Come su tante altre questioni di quegli anni, gli arresti del 7 aprile – e soprattutto i processi che ne seguirono – provocarono divisioni nette e dolorose nella politica e nella società italiana, e ancora oggi non c’è un vero consenso storico sul caso, anche se le critiche a come il processo fu impostato e portato avanti negli anni sono diventate predominanti.

Autonomia Operaia era un movimento di estrema sinistra di ispirazione marxista e operaista che nacque nel 1973 in parte dall’esperienza di Potere Operaio, un altro gruppo che si era sciolto quell’anno e che era guidato tra gli altri da Negri, docente all’università di Scienze Politiche di Padova. Autonomia Operaia fu uno dei tanti movimenti extraparlamentari di quegli anni che portò avanti istanze di lotta rivoluzionaria con comizi, pubblicazioni e proteste, e che sviluppò al suo interno anche frange favorevoli a uno scontro violento con le istituzioni. Alcuni militanti di Autonomia Operaia nel corso del tempo si unirono a gruppi armati come Prima Linea o i Nuclei Operai Armati.

Il contesto degli arresti del 7 aprile era quello dei cosiddetti “anni di piombo”, delle stragi fasciste e del rapimento di Aldo Moro, l’importante dirigente della Democrazia Cristiana rapito e ucciso l’anno prima dalle Brigate Rosse in uno degli episodi più traumatici della storia repubblicana. Sull’omicidio si svilupparono vaste indagini e inchieste giudiziarie, e vennero adottate “leggi speciali” tra cui quella che permetteva di applicare il reato di associazione a delinquere alle organizzazioni politiche, e non solo a quelle mafiose.

Fu su queste premesse che il magistrato siciliano Pietro Calogero, della procura di Padova, sviluppò quello che la stampa chiamò “teorema Calogero”: cioè che una serie di intellettuali, docenti universitari, giornalisti e militanti dell’area riconducibile ad Autonomia Operaia avesse diretto le operazioni delle Brigate Rosse, portando avanti un progetto di eversione armata. Alla base della tesi di Calogero c’era la dibattuta questione dei rapporti tra la propaganda e gli scritti dei molti e influenti intellettuali di estrema sinistra dell’epoca e le azioni di terrorismo politico che proliferavano in quegli anni.

La cosiddetta “predicazione all’eversione” era considerata da molti in realtà come un’attività di protesta che, nel contesto di quegli anni, rientrava nell’esercizio delle libertà politiche, pur condividendo significative responsabilità dell’inasprirsi delle tensioni sociali per via dei frequenti inviti alla violenza, responsabilità riconosciute poi in diversi casi dai loro stessi autori. Ma secondo il magistrato, quelle responsabilità andavano ben oltre: Calogero credeva infatti che esistesse un collegamento diretto e materiale tra alcuni movimenti politici extraparlamentari di sinistra e le bande armate del terrorismo rosso.

Tra le decine di persone indagate e arrestate ci furono Toni Negri, Oreste Scalzone ed Emilio Vesce. Franco Piperno e Lanfranco Pace sfuggirono all’arresto andando in Francia. Le accuse andavano dall’associazione sovversiva all’insurrezione armata, ma in certi casi erano molto precise: Negri per esempio fu accusato di aver partecipato direttamente al rapimento Moro, e addirittura di essere stato il telefonista delle Brigate Rosse che condusse le trattative. In realtà si dimostrò dopo che la voce brigatista era di Valerio Morucci. A Negri fu rivolta anche l’accusa di “mandante morale” del rapimento, ma anche in questo caso cadde insieme a quelle di altri omicidi a lui attribuiti, da quello dell’ingegnere milanese Carlo Saronio a quello del giudice Emilio Alessandrini.

Il processo si svolse con tempi lunghissimi, e secondo molti attivisti – e anche secondo Amnesty International – in violazione dello stato di diritto: Negri, insieme ad altri imputati come Scalzone, fu detenuto preventivamente in carcere per anni, e il processo cominciò soltanto nel 1983. In primo grado Negri fu condannato a 30 anni per associazione sovversiva, banda armata e diversi altri reati, ma fu prosciolto dall’accusa di insurrezione armata.

Prima dell’appello, Negri accettò la proposta del politico radicale Marco Pannella di candidarsi alla Camera, venendo eletto e uscendo per questo dal carcere grazie all’immunità parlamentare. Nel settembre del 1983, Negri fuggì in nave in Francia: inizialmente parlò di un gesto politico assicurando che sarebbe rientrato in Italia, ma dopo qualche anno cambiò idea e decise di approfittare della cosiddetta “dottrina Mitterrand” – con cui la Francia dava ospitalità e sicurezza, rifiutando le estradizioni, a chi lasciasse la lotta armata e la violenza – rimanendo latitante. Questo fece arrabbiare molto Pannella, e attirò le critiche di molti che in precedenza lo avevano sostenuto.

In molti, da Giorgio Bocca a Rossana Rossanda, criticarono duramente lo svolgimento del processo, considerandolo ingiusto e disumano nei confronti degli imputati a cui, secondo molti, non furono assicurate le garanzie alla base di un sistema giudiziario fondato sullo stato di diritto. Ma negli anni le critiche hanno riguardato sempre più l’impostazione alla base del processo, dall’affidamento fatto sulle testimonianze dei “pentiti” – pratica spesso contestata nei processi sul terrorismo politico – alla tesi di fondo che mirava ad attribuire responsabilità materiali nel terrorismo politico agli intellettuali di estrema sinistra che non parteciparono direttamente ai gruppi armati.

Alla fine le pene dei principali condannati nel processo del 7 aprile furono ridotte in appello e poi confermate in Cassazione: in tutto Negri ricevette 12 anni, Scalzone 8 anni, Pace e Piperno 4 anni. La giustizia ritenne dunque colpevole i leader di Autonomia Operaia di eversione e di banda armata, ma non trovò prove del “teorema Calogero” sui collegamenti con le Brigate Rosse e con i moltissimi omicidi e sequestri a loro inizialmente attribuiti. Negri rientrò in Italia nel 1997, costituendosi e scontando i rimanenti anni di carcere. Scalzone, che a sua volta era fuggito in Francia nel 1981, ci rimase fino al 2007 quando i suoi reati furono prescritti, così come fece Pace. Piperno, che per un periodo rimase latitante in Francia e in Canada, rientrò a sua volta in Italia e scontò la parte rimanente della pena.

domenica 6 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 6 aprile.

Il 6 aprile 2005 muore Ranieri, il principe di Monaco.

Il Principe Ranieri III, Sovrano del Principato di Monaco, nasce il 31 maggio 1923, figlio della Principessa Charlotte, duchessa di Valentinois e del Principe Pierre - Marie - Xavier - Antoine - Melchoir, Conte di Polignac, nominato Grimaldi dall'Ordine del Concilio il 18 marzo 1920. Il suo nome esteso è Rainier Louis Henri Maxence Bertrand de Grimaldi.

Il 9 maggio 1949 Ranieri III succede al nonno, Principe Luigi II: cinque anni anni prima, il 30 maggio 1944, la Principessa Charlotte, figlia di Luigi II, rinunciava al diritto di successione in favore del figlio Ranieri, il quale diventava ufficialmente ereditario del titolo e destinato alla successione al trono di Monaco.

Il titolo formale viene abbreviato con le lettere H.S.H. (His Serene Highness).

Sebbene il nome della famiglia sia Grimaldi, il principe viene generalmente e semplicemente chiamato Principe Ranieri.

Il 18 aprile 1956 Ranieri III sposa Grace Kelly, nota e bellissima attrice statunitense scomparsa prematuramente e tragicamente nel 1982. Dalla loro unione nasceranno tre figli: Carolina (1957), Alberto (1958) e Stephanie (1965).

Per oltre 50 anni Ranieri Grimaldi III reggerà le redini dell'elegante principato of Monaco, nel sud della Francia, piccola terra la cui superficie è inferiore a quella del Central Park di New York. Monaco è nota nel mondo anche per il suo casinò, le spiagge esclusive, l'assenza di tasse e l'annuale gara di Formula 1, il cui circuito è disegnato per essere percorso all'interno delle vie cittadine.

A Ranieri si deve l'ammodernamento che il principato ha subito e di cui gode tutt'oggi: costruzioni, ristrutturazioni e la creazione di un centro finanziario. La sua figura pubblica è sempre stata discreta, lontano dalla mondanità, fino al 1982, quando la moglie principessa Grace Kelly, morì in un fatale incidente automobilistico.

Un'altra tragedia segnerà la vita della famiglia Grimaldi: il 3 ottobre 1990 il marito di Carolina, l'italiano Stefano Casiraghi, perde la vita in un tragico incidente avvenuto durante una prova del mondiale off shore, nelle acque di Montecarlo.

Il 7 marzo 2005 Ranieri viene ricoverato al centro cardio-toracico di Monaco: il 22 dello stesso mese è trasferito in rianimazione per un'infezione bronco-polmonare complicata da insufficienza cardiaca e renale. Il Principe, tanto amato dal popolo monegasco, dopo lunghi giorni di agonia si è spento il giorno 6 aprile.

Gli succede al trono il figlio Alberto.

sabato 5 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 aprile.

Il 5 aprile 2004 viene diffusa la notizia per cui la testa conservata nella tomba del vate Petrarca non sia la sua, ma di una donna vissuta un secolo prima.

Il mistero della tomba di Petrarca: l’esame al radiocarbonio 14 ha provato che nel sepolcro di Arquà, dove fu sepolto il letterato aretino, sono presenti le ossa di due persone, un uomo e una donna.

Il 18 novembre 2003, in occasione dell’imminente settimo centenario della nascita di Francesco Petrarca (1304-1374), la famosa tomba in marmo rosso di Verona, che si trova sul sagrato della Chiesa di Santa Maria Assunta ad Arquà (Padova), è stata aperta per verificare lo stato di conservazione delle ossa e per tentare, così, di ricostruire la fisionomia del poeta utilizzando la tecnologia informatica della ricostruzione tridimensionale. L’esame del dna, effettuato su un frammento di cranio e un frammento di costola, ha rivelato che i campioni appartengono a due individui differenti. Il corpo è sicuramente di un uomo: alto, grasso e con un segno traumatico sul costato (Petrarca corrisponde perfettamente alla descrizione dei tratti, e in vita fu effettivamente vittima di un calcio di un cavallo alle costole). Il cranio, però, appartiene a una donna e l’esame al radiocarbonio 14 ha stabilito che si tratta di una persona vissuta tra il 1134 e il 1280.

Degli esami specifici si sono occupati l’anatomopatologo Vito Terribile dell’Università di Padova, Davide Caramelli, direttore del Dipartimento di Biologia e Genetica dell’Università di Firenze, e una squadra di genetisti dell’Università di Tucson in Arizona. Per scongiurare errori gli esami sono stati ripetuti più volte. La risposta è stata sempre la stessa. In fondo non c’è da stupirsi del fatto che non poche tombe dei secoli lontani si trovino manomesse o, addirittura, prive di feretro. Anche per Dante vi sono state delle incongruenze. Quando il “padre della lingua italiana” morì, il 13 settembre 1321, il corpo fu tumulato in un sarcofago di marmo a Ravenna, adiacente alla Basilica di San Francesco. Le spoglie mortali furono, come è noto, più volte rivendicate dai fiorentini, che intendevano portarle a Firenze. Nel corso del Cinquecento, poi, papa Leone X de’ Medici ottenne il permesso per la restituzione della salma del Sommo Poeta. Quando l’arca funeraria fu aperta venne trovata vuota: i frati avevano trafugato i resti per proteggerli dai fiorentini. In seguito, dal 1677 al 1865, le ossa di Dante furono inserite in una cassetta di legno e, dopo varie peripezie, nuovamente deposte nel luogo dell’originaria sepoltura, dove era stato costruito un tempietto in stile neoclassico, progettato nel 1780 dall’architetto di Ravenna Camillo Moriguia.

Che fine ha fatto il teschio di Petrarca? Il poeta ha letteralmente “perso la testa”, e non per Laura questa volta. Una delle strade percorribili e plausibili è quella del furto delle reliquie di persone famose (e non solo in odor di santità). Nei secoli addietro, soprattutto nel Medioevo cristiano, non era raro il commercio delle reliquie e tanto meno quello degli oggetti, indumenti, feticci e ossa appartenuti a persone importanti: papi, regnanti, sovrani, scrittori, pittori, artisti ecc. Il personaggio protagonista del romanzo Baudolino (Bompiani) di Umberto Eco racconta, per esempio, che agli inizi del Duecento in Italia si potevano contare tre teste di Giovanni Battista collocate in tre diverse chiese italiane. Ed anche se è soltanto un romanzo, la dice lunga su quello che la storia delle reliquie racconta (Eco è un medievista).

Qualcuno, quindi, che aveva facile accesso al sagrato della Chiesa di Santa Maria Assunta, avrebbe potuto, nel corso dei secoli, penetrare indisturbato in un ossario o gabinetto medico, aver prelevato un teschio femminile (è facilmente riconoscibile) e averlo inserito all’interno dell’arca, prelevando quello originale (in fondo pare che anche un braccio del poeta sia stato trafugato intorno al 1630). Ricordiamo che per tutta l’Età medievale e moderna era piuttosto in voga tenere in casa un teschio, soprattutto per certe famiglie appartenenti a un livello socioculturale elevato. Porre sul caminetto, o in bella vista in una teca, un cimelio del genere equivaleva ad avere in casa un Leonardo, un Michelangelo, un Caravaggio o un Picasso originali (durante il Seicento, poi, il gusto per il macabro si fece piuttosto forte). Rammentiamo ai lettori che anche un falso cranio di Mozart fu conservato per decenni in un armadio del Mozarteum e che stessa sorte ebbe la finta testa del poeta romantico Schiller (agli sgoccioli dell’Età moderna).

Insomma il poeta “ha perso letteralmente la testa” e questa volta senza metafore, orpelli retorici e ornamenti semantici. La testa di Petrarca non è più al suo posto. Che fine ha fatto?

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