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martedì 19 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 19 marzo.
Il 19 marzo è tradizionalmente la festa del papà, nel giorno in cui la Chiesa Cristiana celebra San Giuseppe.
Il nome Giuseppe è di origine ebraica e sta a significare “Dio aggiunga”, estensivamente si può dire “aggiunto in famiglia”. Può essere che l’inizio sia avvenuto col nome del figlio di Giacobbe e Rachele, venduto per gelosia come schiavo dai fratelli. Ma è sicuramente dal padre putativo, cioè ritenuto tale, di Gesù e considerato anche come l’ultimo dei patriarchi, che il nome Giuseppe andò diventando nel tempo sempre più popolare. In Oriente dal IV secolo e in Occidente poco prima dell’XI secolo, vale a dire da quando il suo culto cominciava a diffondersi tra i cristiani. Non vi è dubbio tuttavia che la fama di quel nome si rafforzò in Europa dopo che nell’Ottocento e nel Novecento molti personaggi della storia e della cultura lo portarono laicamente, nel bene e nel male: da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Garibaldi, da Verdi a Stalin, da Garibaldi ad Ungaretti e molti altri ancora.
  San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della “sacra famiglia” nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere “in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco prima che “il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene venerato anche quale patrono della buona morte.
  Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe regale, una nobiltà nominale, perché la vita lo costrinse a fare l’artigiano del paese, a darsi da fare nell’accurata lavorazione del legno. Strumenti di lavoro per contadini e pastori nonché umili mobili ed oggetti casalinghi per le povere abitazioni della Galilea uscirono dalla sua bottega, tutti costruiti dall’abilità di quelle mani ruvide e callose.
  Di lui non si sanno molte cose sicure, non più di quello che canonicamente hanno riferito gli evangelisti Matteo e Luca. Intorno alla sua figura si sbizzarrirono invece i cosiddetti vangeli apocrifi. Da molte loro leggendarie notizie presero però le distanze personalità autorevoli quali San Girolamo (347 ca.-420), Sant’Agostino (354-430) e San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Vale la pena di riportare soltanto una leggenda che circolò intorno al suo matrimonio con Maria. In quella occasione vi sarebbe stata una gara tra gli aspiranti alla mano della giovane. Quella gara sarebbe stata vinta da Giuseppe, in quanto il bastone secco che lo rappresentava, come da regolamento, sarebbe improvvisamente e prodigiosamente fiorito. Si voleva ovviamente con ciò significare come dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento fosse rifiorita la grazia della Redenzione.
  San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali.
  Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano di essere in possesso del suo bastone. È sicuramente un bel “aggiunto” di fede.

lunedì 18 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 18 marzo.
Il 18 marzo 1871 nasce la Comune di Parigi.
La Comune di Parigi, è il governo rivoluzionario popolare e operaio istituito dal popolo parigino nella capitale francese a seguito della rivoluzione scoppiata il 18 marzo 1871 dopo la sconfitta francese a Sédan, si colloca in una situazione di ampi mutamenti nella storia d'Europa, era la cosiddetta "svolta dell'anno '70", caratterizzata in particolare dalla guerra franco/prussiana, con il crollo dell'impero di Napoleone III e la costituzione di quello tedesco, dall'annessione di Roma al regno d'Italia e dalla trasformazione del principio di nazionalità in nazionalismo.
Il 2 settembre 1870 l'imperatore Napoleone III, sconfitto nella battaglia di Sedan si arrese ai prussiani; due giorni dopo i repubblicani di Parigi con una rivoluzione incruenta proclamarono la nascita della Terza Repubblica, resistendo al nemico sino al gennaio del 1871, quando la capitale fu costretta a capitolare dopo un assedio di quattro mesi.
Entro l'assemblea nazionale, la maggioranza dei delegati (per lo più monarchici) era disposta ad accettare i termini del trattato di pace imposti dal primo ministro prussiano Otto von Bismarck, considerati invece umilianti da repubblicani e socialisti radicali, decisi a riprendere le armi.
Il timore della restaurazione della monarchia dopo la sconfitta favorì pertanto la costituzione a Parigi di un governo rivoluzionario: il 17 e il 18 marzo il popolo parigino organizzò un'insurrezione contro il governo nazionale, instaurando un governo del popolo, presieduto da un Comitato centrale della guardia nazionale, che inizialmente non ebbe, o perlomeno non ebbe prevalentemente, un carattere Socialista, e fissando per il 26 marzo le elezioni di un Consiglio municipale, noto con il nome di "Comune di Parigi" (i membri del Consiglio furono chiamati "comunardi").
I settanta membri della Comune appartenevano a diverse correnti politiche: la maggioranza era costituita da giacobini, altri erano seguaci del rivoluzionario Louis-Auguste Blanqui, altri ancora erano rivoluzionari indipendenti, o radicali. La minoranza era invece composta da seguaci di Pierre-Joseph Proudhon, membri della sezione francese dell'Associazione internazionale dei lavoratori.
Il 26 marzo 1871 la componente Socialista del Comitato centrale della guardia nazionale ebbe però il sopravvento su quella borghese conservatrice-repubblicana, favorevole a un'intesa col Thiers (capo delle forze "repubblicane" conservatrici attestate a Versailles), e così, per la prima volta nella storia, si verificò e realizzò una concreta presa di potere da parte del proletariato con l'instaurazione di un regime proletario.
Tuttavia, stretta nella morsa della guerra civile, assediata sempre più da vicino dall'esercito del Thiers, la Comune non poté attuare il suo programma socialista se non in misura minima, e alla fine, l'esperimento proletario fu soffocato nel sangue.
Nei suoi pochi giorni di vita la Comune propose misure a beneficio dei lavoratori e votò provvedimenti quali la separazione della Chiesa dallo Stato e la socializzazione delle fabbriche abbandonate dagli imprenditori. Tali misure però non entrarono in realtà mai in vigore, in parte per le frizioni che ben presto emersero tra le varie componenti della Comune, ma anzitutto per l'intervento dell'esercito regolare ordinato dall'assemblea nazionale. Per sei settimane a partire dal 2 aprile, Parigi fu bombardata dalle forze governative; le sue difese furono piegate all'inizio di maggio.
Dopo circa un mese di assedio, il 21 maggio 1871 le truppe guidate dal Thiers entrarono in Parigi, dando inizio alla tristemente famosa "settimana di sangue" che con grande crudeltà la reazione borghese portò a compimento, culminando l'azione di cruenta repressione (21-28 maggio) con l'esecuzione di 20.000 Patrioti Comunardi e l'arresto di altri 38.000, di cui migliaia furono poi deportati nella Nuova Caledonia.

domenica 17 marzo 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 17 marzo.
Il 17 marzo 45 a.C. Giulio Cesare vince la sua ultima battaglia, nei pressi di Munda.
Nel 46 a.C., mentre Rola festeggiava la vittoria di Cesare in terra d'Africa, a Tapso, i seguaci di Pompeo, sconfitti, si erano raccolti nella Spagna meridionale e avevano organizzato un esercito. Questo fu possibile perché il governatore cesariano Quinto Cassio Longino amministrava il territorio con tirannia, provocando così l'indignazione dei comuni spagnoli.
In questo modo i figli di Pompeo, Gneo e Sesto, che erano fuggiti dal nord-Africa con Labieno e Attio Varo, trovarono in Spagna un campo d'azione ben preparato. In breve tempo i Pompeiani riuscirono a mettere insieme una forza di ben tredici legioni, reclutate prevalentemente fra la popolazione locale. Un esercito potente, tanto da indurre i due legati inviati da Cesare a rifiutare lo scontro, avendo a loro disposizione truppe più deboli.
All'inizio di novembre del 46 a.C., Cesare decise di recarsi in Spagna con due legioni. In diciassette giorni, con una marcia di 90 chilometri al giorno, raggiunse Saguntum, a nord di Valencia, e dieci giorni dopo era nell'accampamento di Obulco, a est della città di Cordova occupata dai nemici.
Cesare aveva a disposizione un valoroso esercito composto da quattro legioni di veterani, quattro legioni di nuova formazione e ottomila cavalieri. Gli avversari, però, con truppe di poco inferiori, occupavano, a sud e a sud-ovest di Cordova, le città più importanti; un vantaggio che rese enormemente più difficile la campagna invernale di Cesare.
La città di Ulia, a sud di Cordova, fedele a Cesare, era da mesi assediata da Gneo Pompeo e prossima alla capitolazione. La situazione poté essere sbloccata con un abile manovra. Cesare si diresse contro Cordova e costrinse gli assediati ad abbandonare Ulia e ad accorrere in aiuto della capitale. L'iniziativa, tuttavia, non provocò una svolta decisiva, anche perché i Pompeiani si sottrassero costantemente allo scontro aperto.
Nella metà di gennaio del 45 a.C., Cesare pose l'assedio alla città di Ategua, utilizzata dal nemico come deposito di scorte. Gneo Pompeo giunse con il suo esercito nelle vicinanze, senza però tentare nessun attacco per alleggerire la pressione sulla città. Il 19 febbraio, dopo diverse settimane d'assedio, abbandonata al suo destino dalle stesse legioni pompeiane, la città di Ategua capitolò.
Dopo questo fatto i comuni spagnoli cominciarono a diffidare della disponibilità a combattere dei loro protettori pompeiani. Questi si spostarono verso sud e immediatamente Cesare si mise alle loro spalle. A Gneo Pompeo e Labieno non lasciò il tempo di rafforzare le loro truppe. I Pompeiani, per evitare lo sfaldamento della loro forza, si videro costretti ad affrontare una battaglia decisiva.
Il mattino del 17 marzo 45 a.C., presso Munda, l'odierna Montilla, i due eserciti si scontrarono in battaglia.
Contro le ottanta coorti e gli ottomila cavalieri di cesare, i Pompeiani opponevano una forza di combattimento numericamente superiore, ed occupavano anche una posizione favorevole, sui pendii di una catena di colline, in attesa dell'attacco dei Cesariani dalla pianura.
Si trattò di una delle più dure battaglie affrontate da Cesare. I Pompeiani assaltarono venendo giù dai pendii e riuscirono ad aprirsi un varco nella falange nemica. Cesare, vedendo lo sbandamento delle sue formazioni, si lanciò di persona nel combattimento in prima linea.
Il suo esempio ebbe l'effetto di fermare le barcollanti legioni. Decisivo fu però l'attacco di uno squadrone di cavalleria al fianco destro e alle spalle dei Pompeiani. Per mettersi sulla difensiva, Labieno fece arretrare in tutta fretta cinque coorti, e questo fu scambiato dai combattenti pompeiani per l'inizio della ritirata.
Nella confusione, Cesare approfittò per l'attacco decisivo e di colpo le sorti della battaglia si rovesciarono. Alla sera la vittoria di Cesare era assicurata, suggellando l'ultima terribile sconfitta dei Pompeiani. Questi ultimi lasciarono sul terreno trentamila morti, fra cui anche Tito Labieno e Attio Varo. Gneo Pompeo venne bloccato durante la fuga e ucciso in combattimento.
Cesare rimase nelle province spagnole fino al giugno del 45 a.C.

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